L’incisivo debutto, al Castello di Govone, dei Piwi prodotti nella Regione con il record di produzione Doc e Docg. L’esperienza di aziende come Cantina Ceste e Bric della Vigna, che puntano alla sostenibilità attraverso questi nuovi vitigni e l’impegno di VCR per fare attecchire la buona novella dei vitigni resistenti anche in questa regione
Di Lorenzo Tosi
Il Piemonte è la terra dei vini tipici. La Regione viticola che ha puntato di più sulla carta della variabilità dei terroir, con 19 Docg e 41 Doc che assorbono più dell’80% del vino prodotto. Un sistema che ha saputo valorizzare la mutevole espressione territoriale di un vitigno cardine come il Nebbiolo oltre al ricco patrimonio ampelografico di più di venti autoctoni storici come Arneis, Cortese, Erbaluce, Moscato bianco, Timorasso tra i bianchi; Barbera, Brachetto, Dolcetto, Grignolino, Ruchè tra i rossi.
Il battesimo di Piwi Piemonte
Dallo scorso 29 giugno il Piemonte è anche la terra dei vini sostenibili. Il Castello Reale di Govone (Cn), residenza sabauda patrimonio Unesco che dall’anno mille domina il territorio del Roero, ha infatti ospitato la manifestazione che ha tenuto a battesimo Piwi Piemonte (leggi qui il programma dell’evento). L’associazione che riunisce i produttori locali di vini da vitigni resistenti è nata soprattutto grazie all’impegno di Pierguido Ceste, poliedrico titolare dell’omonima cantina situata proprio all’ombra del Castello Reale e fiore all’occhiello del Roero.

Pierguido Ceste, titolare dell’omonima azienda di Govone (CN) e principale promotore della nascita di Piwi Piemonte
Una risposta convincente alle esigenze delle nuove generazioni
Un’azienda con una solida tradizione famigliare, capace di coniugare l’orgoglio territoriale di etichette come la Barbera d’Alba cru Sposabella, i Barolo e Barbaresco, con l’apertura ai mercati internazionali del Langhe Rosso Tubleu, una sorta di “super Piedmont” frutto del sapiente assemblaggio di Merlot, Cabernet Sauvignon, e Barbera coltivati e vinificati direttamente in azienda.
Pierguido sa infatti che insistere sulla tipicità e sulla tradizione può risultare una risposta stonata (o, per lo meno, non l’unica da dare) soprattutto per le esigenze dei giovani consumatori, attenti alla necessità di una svolta sostenibile anche nella produzione di vino. Nasce da questa convinzione il suo impegno sul fronte dei Piwi, in particolare sul Soreli, varietà resistente “made in Italy”, frutto dell’impegno d’innovazione condiviso da Università di Udine e VCR, Vivai Cooperativi Rauscedo, impiantato a inizio 2023 e la cui prima produzione sarà in bottiglia dall’anno prossimo.
L’impegno di VCR
La diffusione, o meglio: l’”attecchimento” delle varietà resistenti in questa Regione è infatti tutto merito della tenacia di VCR- come ha spiegato Davide Sordi, area manager dei Vivai Cooperativi nel corso dell’evento di Govone- che ha superato le numerose prove richieste da un’amministrazione attenta alla qualità per arrivare all’autorizzazione, nella seconda metà del 2022, alla coltivazione di Fleurtai, Soreli, Sauvignon Rytos e Cabernet Volos: le prime quattro varietà resistenti (3 a bacca bianca, l’ultima a bacca rossa) che si possono coltivare in Piemonte.
È forse proprio a causa di questa “attenzione” se il Piemonte sconta un evidente ritardo rispetto alle Regioni del Nord Est, dove la possibilità di unire sostenibilità ambientale, redditività economica e qualità enologica grazie a questi nuovi vitigni è praticata da tempo (in Friuli e Veneto i Piwi frutto della ricerca made in Italy sono autorizzati ormai da otto anni).
L’attenzione tutta piemontese alla qualità
«Il percorso- spiega Sordi – è stato lungo e travagliato anche a causa della pandemia». La Regione, per decidere riguardo all’idoneità di queste varietà, ha chiesto infatti di poter disporre di dati agronomici ed enologici provenienti da un set di non meno di tre impianti situati in territori diversi.
VCR ha attivato nel corso degli ultimi anni numerose collaborazioni con diversi enti in Piemonte, impiantando vigneti sperimentali tra il 2016 e il 2019. Decisiva è stata infine la collaborazione con le aziende sperimentali della Tenuta Cannona della Fondazione Agrion di Carpeneto (Al); dell’Ist. Umberto I, scuola enologica di Alba (Cn) e dell’azienda Bric della Vigna di Alice Castello (tra le province di Vercelli e Biella), che hanno assicurato alla Regione i set di dati richiesti per l’attenta valutazione delle richieste di autorizzazione, concesse dopo la fine del periodo di pandemia.
«Ora siamo al lavoro – continua Sordi – per raccogliere i dati necessari per l’autorizzazione piemontese anche degli altri vitigni resistenti di VCR, in particolare dei Sauvignon Nepis e Kretos, dei rossi Merlot Khorus, Merlot Kanthus e dei 4 figli di Pinot: Pinot Kors, Volturnis, Pinot Iskra e Kersus per consolidare l’offerta varietale e dare maggiori chance per l’affermazione del movimento dei Piwi in Piemonte».
Il battistrada dei Piwi piemontesi
Che ha già un battistrada: “Atipico” è il bianco piemontese che non ti aspetti, profumato e dorato, un blend di Fleurtai, Soreli e Sauvignon Rytos, vendemmiato nel 2022 e imbottigliato per la prima volta da Bric della Vigna nel 2023, portato in degustazione a Govone assieme ai migliori Piwi provenienti dalle regioni del Nord-Est. Un vantaggio temporale assicurato proprio dalla collaborazione con VCR per l’autorizzazione di questi Piwi in Piemonte, con il supporto scientifico del prof. Vittorino Novello, presidente della commissione viticoltura dell’Oiv e docente di viticoltura ed enologia alla Facoltà di Agraria dell’Università di Torino.
L’azienda è situata nei pressi del lago di Viverone, nella zona dell’Erbaluce, ma la famiglia Dettori, titolare di Bric della Vigna, ha ritenuto che i Piwi fossero più corrispondenti al messaggio di sostenibilità trasmesso da una realtà che nasce dal recupero e trasformazione dell’ex-polveriera di Alice Castello, abbandonata per oltre 20 anni. Una filosofia chiara fin dal nome scelto per il vino ed evidenziata dall’annotazione “sostenibile” posta sull’etichetta. Una scelta molto vicina a quella di Cantina Ceste e da quella degli altri produttori che hanno già aderito a Piwi Piemonte.
Il più convincente marchio di sostenibilità del vino
Nonostante Piwi sia un acronimo in tedesco utilizzato per la prima volta in Svizzera (deriva dalla parola Pilzwiderstandsfähig, ovvero vitigno resistente ai funghi) Marco Stefanini, presidente di Piwi Italia, Nicola Biasi, miglior giovane enologo d’Italia e catalizzatore del progetto Renitens basato sui Piwi e Alexander Morandell, presidente di Piwi International hanno spiegato, nel corso dell’evento di Govone, come sia invece proprio il nostro Paese l’epicentro di un movimento che punta a dare una precisa identità ad un marchio che ha le potenzialità per diventare il più convincente riferimento all’interno dell’articolata galassia dei vini sostenibili (i piwi italiani sono già più di 400 prodotti da 225 produttori).
I ritardi delle doc italiane
Il rischio collaterale è quello dell’affermazione di una piramide qualitativa, basata sull’attenzione all’ambiente e alla coesione sociale dei territori, alternativa a quella odierna basata sulla tipicità, in cui l’Italia ha un vantaggio competitivo da difendere. Un rischio che Bruxelles ha scongiurato sdoganando, con l’ultima Ocm (Reg. Ue 2021/2117), la possibilità di utilizzare questi vitigni anche nelle Doc. Un’ipotesi che purtroppo in Italia è per ora vanificata da un anacronistico blocco normativo (ne parliamo qui), mentre competitor come la Francia puntano proprio sui Piwi per rilanciare le sorti delle loro migliori Aoc, inclusi Champagne e Bordeaux.
Verso Nebbioli e Barbere resistenti
Per questo Davide Sordi, nel suo intervento all’assise piemontese, ha raccontato anche degli sforzi che sta compiendo VCR sui Vam (varietà autoctone migliorate). Dopo l’impegno assieme all’Università di Udine che ha fruttato l’iscrizione al registro nazionale di 14 Piwi, il programma autonomo di ricerca portato avanti dai Vivai Cooperativi dal 2015 ha infatti già portato alla selezione di 400mila nuovi genotipi di circa 90 varietà nazionali e locali, tra cui Nebbiolo e Barbera. Dodici varietà sono già state depositate al Cpvo e sono in attesa di iscrizione al registro nazionale (leggi qui le novità in particolare sulla Glera resistente).
Un sistema ingessato che accumula ritardi
Un’ipotesi di allargamento della base ampelografica a cui per ora i Consorzi sembrano non voler ufficialmente aderire («abbiamo già più di 20 varietà autoctone…»), mentre alcuni loro produttori sembrano apprezzare maggiormente («se avessimo a disposizione una varietà del tutto simile a un Nebbiolo o a una Barbera tradizionale, con qualità elevata e la possibilità di ridurre drasticamente i trattamenti, perché mai dovremmo rinunciare?»).
In balia degli effetti del mutamento del clima e dei mercati, il futuro del vino italiano è oggi tutto da scrivere. In passato, in simili momenti di svolta, il sistema delle denominazioni si è dimostrato troppo rigido per reagire con prontezza ai cambiamenti, tanto che molte produzioni iconiche che oggi trainano l’immagine del nostro vino si sono spesso affermate fuori dai condizionamenti delle doc, grazie alla determinazione di produttori illuminati (basti citare i casi Gaja o Sassicaia..) per poi rientrare solo in seguito nel “sistema”. È probabile che lo stesso si verificherà anche per i Piwi.
La resistenza va difesa
L’Italia è uno dei Paesi più attivi nella ricerca genetica in viticoltura. Un primato dimostrato anche dal successo dei programmi di ricerca italiani che hanno portato nel 2007 alle prime codifiche del genoma di Vitis vinifera.
Risale, più o meno, a questo periodo l’impegno di VCR, Vivai Cooperativi Rauscedo, sul fronte del miglioramento genetico della vite tramite incrocio e in particolare alla collaborazione con l’Università di Udine e con Iga (Istituto di Genomica applicata di Udine), enti che avevano dato un forte contributo al successo dei programmi di ricerca citati. L’obiettivo di VCR era quello di mettere a disposizione dei viticoltori strumenti in grado di rispondere alle crescenti esigenze di sostenibilità ambientale grazie alla possibilità di ridurre notevolmente il numero dei trattamenti antifungini.
Riduzione non significa però annullamento, perchè resistenti non vuol dire immuni. I Piwi sono varietà evolute, strumenti tecnici innovativi che vanno utilizzati al meglio. VCR chiede pertanto ai produttori di accostarsi ai Piwi con la massima competenza tecnica, perché la resistenza va tutelata nel tempo attraverso una razionale gestione della difesa, per non turbare, in maniera controproducente, l’equilibrio ambiente-ospite-patogeno.
I Piwi coltivabili in Piemonte
Le prime 4 varietà resistenti autorizzate in Piemonte derivano dal programma di ricerca intrapreso a partire dal 2006 da VCR assieme all’Università di Udine e a Iga (Istituto di Genomica applicata) che ha portato alla loro iscrizione nel registro nazionale nel 2015. L’obiettivo è stato quello di sviluppare nuove varietà sì resistenti, ma anche dotate di caratteristiche enologiche di pregio e di un ciclo vegetativo adatto alle condizioni pedoclimatiche italiane:
- Fleurtai. Varietà a bacca bianca ottenuta dall’incrocio tra Tocai Friulano e 20-3 con ottima resistenza a peronospora e oidio. Maturazione precoce, produzione più che media, buona capacità di accumulo zuccherino con livello acidico nella media. Il quadro aromatico è caratterizzato dall’ampiezza degli aromi fruttati e speziati. Si presta alla produzione di vini giovani e alla spumantizzazione con metodo Charmat;
- Soreli. Varietà a bacca bianca ottenuta dall’incrocio tra Tocai Friulano e 20-3 con ottima resistenza a peronospora e buona all’oidio. Maturazione precoce, produzione medio-elevata, ottima capacità di accumulo zuccherino con livello acidico nella media anche nelle annate calde. Il profilo aromatico è intenso con piacevoli sentori di frutta tropicale. Si presta alla produzione di vini di buona struttura e anche alla spumantizzazione con metodo classico;
- Sauvignon Rytos. Varietà a bacca bianca ottenuta dall’incrocio tra Sauvignon blanc e Bianca con buona-ottima resistenza alla peronospora e all’oidio. Maturazione in epoca media, produzione medio-elevata, buona la capacità di accumulo zuccherino e il livello acidico. Il profilo aromatico è complesso, caratterizzato da sentori tropicali e minerali. Si presta alla produzione di vini di pronta beva ma anche all’affinamento prolungato;
- Cabernet Volos. Varietà a bacca rossa ottenuta dall’incrocio tra Cabernet sauvignon e 20-3 con buona resistenza alla peronospora e discreta all’oidio. Maturazione in epoca media, produzione medio-elevata, buona la capacità di accumulo zuccherino e l’acidità fissa. Presenta un’intensità aromatica con profumi fruttati e speziati molto marcati e ricchezza in polifenoli. Si presta a dare vini da medio prolungato invecchiamento grazie all’intensità e alla elevata tonalità del colore.
Alba battistrada della didattica del vino
L’istituto Umberto I Scuola enologica di Alba ha inaugurato un percorso efficace ed originale per combinare gli obiettivi didattici con quelli di ricerca. Lo ha spiegato nel corso della giornata sui Piwi del Piemonte al Castello di Govone il vicepresidente dell’Istituto Giuseppe Dacomo.
Ad Alba, nella nuova cantina per le microvinificazioni, è stato infatti messo a punto un percorso sperimentale molto partecipato dagli studenti. Coinvolti nelle analisi di varietà codificate che vengono “svelate” solo dopo il completamento della loro caratterizzazioni e della pubblicazione delle loro tesine, per evitare condizionamenti o pregiudizi. E la qualità delle microvinificazioni rendono questo istituto un partner ideale per i percorsi di continua sperimentazione portati avanti da VCR.