Tocca terra nel Campus universitario di San Floriano in Valpolicella lo Chardonnay reso resistente alla peronospora da Edivite attraverso le Tea, tecniche di evoluzione assistita. È in assoluto la prima sperimentazione in pieno campo di una coltura arborea ottenuta attraverso genome editing in Europa
Taac! Le prime viti Tea, resistenti alla peronospora grazie all’editing genetico e all’applicazione delle forbici molecolari della Crispr/Cas9, sono state messe a dimora in pieno campo il 30 settembre presso il Campus universitario di San Floriano in Valpolicella, nel Comune di San Pietro in Cariano (Vr).
Sono il frutto dell’impegno del gruppo di lavoro del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona coordinato da Mario Pezzotti e dello spinoff universitario EdiVite. Si tratta solo della seconda specie agraria Tea che riesce a uscire dall’ambiente chiuso dei laboratori in Europa, dopo il riso resistente al brusone messo a punto dall’Università di Milano e subito vandalizzato lo scorso giugno.
Sperimentazione in campo solo in Italia
La sperimentazione in pieno campo è potuta partire grazie alle prime aperture del 2023 e all’emendamento al decreto agricoltura che lo scorso luglio ha prorogato l’autorizzazione alla sperimentazione in pieno campo delle Tea (l’Italia è finora l’unico Paese in Europa che l’ha concessa) fino a dicembre 2025.
Il senatore Luca De Carlo, primo firmatario dell’emendamento (assieme al collega Giorgio Bergesio), ha rivendicato la correttezza di un provvedimento in linea con l’obiettivo della sovranità agroalimentare. «L’agricoltura – ha detto – non deve essere terreno di una sterile contrapposizione ideologica». «Serve più pragmatismo e più leggerezza» ha ribadito De Carlo, che ha ammesso di essere da sempre un ammiratore del film “Il ragazzo di campagna” di Renato Pozzetto («Taac!»).
Mano alla vanga
Mano alla vanga quindi: ad aiutare i ragazzi del dipartimento di Biotecnologie nello storico primo impianto di viti Tea c’era praticamente tutto il mondo agricolo. Ettore Prandini, presidente di Coldiretti: «siamo storicamente avversi agli ogm perché sono lo strumento che ha concentrato nelle mani di tre sole multinazionali le risorse alimentari dell’intero pianeta, mentre le Tea raggiungono il risultato opposto di tutelare la distintività e la biodiversità delle nostre produzioni».
Cristiano Fini, presidente di Cia Agricoltori Italiani: «La crisi dell’agricoltura italiana è una crisi produttiva. Il climate change e la diffusione di malattie come la flavescenza dorata tagliano le rese e i redditi degli agricoltori. Ricerca e innovazione sono l’unica speranza, ma non si può chiedere alle Tea di fare i miracoli». Carlo Piccinini, presidente di Alleanza delle cooperative agroalimentari: «l’Europa era la culla dei lumi e della fiducia nella scienza, ora è solo il covo delle superstizioni. Chi investe in ricerca e innovazione vince, chi cerca di rincorrere le acquisizioni scientifiche con normative come quella che distingue tra tea di categoria 1 e 2 è destinato a rimanere indietro».
Christian Marchesini, presidente del Consorzio della Valpolicella, in rappresentanza di Confagricoltura: «Il nostro è un territorio antropizzato dove varietà sensibili come la Corvina devono affrontare peronospora, oidio e mal dell’esca garantendo il massimo livello di sostenibilità. Ci salviamo solo investendo in ricerca».
Poco prima il ministro Francesco Lollobrigida, nonostante fosse in collegamento video dall’evento “Terra Madre” di Torino organizzato da SlowFood, aveva ribadito l’impegno del dicastero di via XX settembre in favore delle nuove biotecnologie di precisione: «L’Italia è sempre stata all’avanguardia con esempi come quello del genetista Nazareno Strampelli il cui prezioso lavoro di miglioramento genetico del frumento ha assicurato la sicurezza alimentare di una popolazione mondiale in forte crescita, ma non fu esente da critiche». «Occorre lavorare per garantire un futuro a brillanti ricercatori in biotecnologie agrarie oggi costretti a trovare lavoro all’estero».
Vincoli normativi che non vengono ancora superati
Un convinto e diffuso consenso che stona con la necessità di proteggere il sito di sperimentazione con reti e filo spinato e con il vincolo di indicare all’ingresso del vigneto che si stanno sperimentando ogm.
«Il regolamento europeo – ammette Pezzotti – che doveva liberare le Ngt (New genomic techniques) dagli asfissianti vincoli degli ogm è ancora in una fase di stallo, ma non è l’unico limite legislativo che in Europa blocca questa promettente tecnica». «Le attuali regole Upov per ottenere la privativa vegetale non si possono infatti applicare a cloni ottenuti da genome editing che non presentano differenze morfologiche ma solo piccolissime variazioni genetiche».
Un limite che non consentirebbe di raccogliere i frutti dei cospicui investimenti e dell’impegno dei ricercatori. Che indubbiamente hanno raggiunto un risultato notevole: nessuno si aspettava di vedere la vite Tea in campo in tempi così veloci. Un passaggio che permetterebbe di raccogliere i dati per una veloce omologazione, nel caso si sbloccasse la partita normativa del nuovo regolamento europeo.
«Sarebbe il coronamento – ricorda Pezzotti – di un impegno partito da molto lontano: sono passati venti anni da quando abbiamo cominciato a studiare il genoma della vite». «Il successo dei progetti di ricerca che hanno portato alla prima codifica del genoma ci hanno consentito di analizzarne la struttura e le funzioni fino a capire come si possono applicare queste conoscenze ad sistema complesso come quello di una pianta arborea». Ciò ha portato da una parte alla possibilità di sfruttare la Mas, la selezione assistita da marker nei progetti di miglioramento genetico attraverso incrocio ricorrente, e dall’altra, secondo Pezzotti, alla possibilità di tutelare i vitigni più legati alla nostra viticoltura territoriale attraverso le Tea.
La rigenerazione da protoplasto
Il gruppo di lavoro dell’Università di Verona ha raggiunto l’obiettivo attraverso la rigenerazione da protoplasto, un metodo “DNA-free” che è stato brevettato da Edivite.
Sono passati solo 12 anni da quando Jennifer Doudna e Emmanuelle Charpentier, le due ricercatrici premiate con il premio Nobel per la chimica, hanno scoperto e capito come utilizzare la Crispr/Cas9, queste forbici molecolari capaci di intervenire a livello di singola base azotata, per l’editing genetico.
«Applicare– afferma Sara Zenoni, docente di Genetica Agraria dell’Università di Verona- questo sistema alle piante arboree, e in particolare alla vite non è stato tuttavia semplice». Il problema principale rimane infatti quello di riuscire a rigenerare una pianta intera da una singola cellula in cui si è indotta la mutazione desiderata.
Il metodo brevettato da Verona prevede di partire dalle cellule somatiche delle antere o dei pistilli del fiore di vite, un tessuto capace di regredire ad uno stato meristematico formando calli embriogenetici. Questi vengono trattati in un periodo molto precoce per isolare, una volta eliminata la parete cellulare, i singoli protoplasti.
Il complesso Crispr/Cas9, composto da una proteina e da RNA, lavora come una forbice molecolare di precisione e può essere “progettato” se si conosce l’esatta sequenza del gene bersaglio. Nel modello brevettato da Edivite il complesso è in grado di entrare, senza utilizzare l’Agrobacterium come vettore, nel nucleo di un singolo protoplasto posizionandosi con precisione sulla catena del DNA tagliandola. Nel momento in cui la cellula interviene per riparare la sequenza si creano le mutazioni che di fatto alterano la trascrizione del DNA e silenziano l’espressione del gene, ad esempio la sintesi di una proteina.
Geni di suscettibilità e geni di resistenza
Il gene su cui si è operato per ottenere lo Chardonnay resistente messo a dimora nel veronese è il DMR6, uno dei geni di suscettibilità a peronospora conosciuti. Si tratta dei geni coinvolti nel meccanismo di interazione tra patogeno e pianta, non innescano una veloce reazione di ipersensibilità come nel caso dei geni di resistenza presenti oggi nelle varietà Piwi, ma la mancanza della loro espressione inibisce l’avvio dell’infezione. Il grado di resistenza che si riesce ad ottenere è stimato, nel caso della peronospora, pari a circa il 40%. Una quota che si potrebbe migliorare provando a aggiungere geni di resistenza attraverso la cisgenesi, ma in questo caso, con l’attuale proposta di regolamento, la modifica supererebbe la soglia di 20 nucleotidi e ricadrebbe nella fattispecie delle Tea di tipologia 2, con l’obbligo di etichettarle come Ogm.
Intanto però la scienza va avanti ed EdiVite come spiega Zenoni, sta già lavorando su Glera e su altre varietà, oltre che sulla modificazione del gene Mlo di suscettibilità per l’oidio.
In questi ultimi casi occorre però un ulteriore sforzo per superare il problema delle varietà cosiddette ricalcitranti, ovvero tutte quelle che oggi presentano un tasso di rigenerazione da protoplasto estremamente basso.
Cos’è Edivite
EdiVite è lo spinoff universitario nato all’interno del dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, con il sostegno di soci accademici e soci privati del mondo della produzione vitivinicola. L’obiettivo è di produrre viti più resistenti ai patogeni con lo scopo di ridurre l’utilizzo dei prodotti fitosanitari necessari per la difesa dei vigneti. A questo scopo la start up veronese ha sviluppato e brevettato l’applicazione dell’editing genomico DNA-free nella vite. La prima rigenerazione di una vite da singola cellula è avvenuto nei laboratori di San Floriano nel 2019 e questo ha dato la spinta per la fondazione dello spin off nel 2020. Due anni dopo, nel 2022, è stato possibile sviluppare la prima pianta editata con una mutazione specifica al gene DMR6 di suscettibilità all’oidio.
Dopo altri due anni Edivite è stata la prima realtà a ottenere l’autorizzazione alla sperimentazione delle viti editate in campo da parte del Ministero dell’Ambiente e sicurezza energetica con l’avvio del progetto Vitea1.