Vitigni resistenti: un futuro sostenibile per le DOC italiane
La questione Piwi approda al Senato. Il disegno di legge del Senatore Pietro Patton punta a superare l’impasse causata dall’art. 33 comma 6 del Testo Unico del Vino (legge 238/2016) che ne impedisce l’utilizzo delle Doc e nelle Docg.
Con il convegno “Vitigni resistenti” organizzato il 3 dicembre alle 15 presso l’Istituto di Santa Maria in Aquiro in Piazza Capranica, 72 a Roma, l’impegno a superare questo assurdo vincolo diventa bipartisan, con la presenza del Senatore Luca De Carlo, presidente della 9a Commissione industria, commercio e agricoltura.
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Un blocco anacronistico
Il blocco italiano è infatti diventato anacronistico: la nuova Ocm (Reg. Ue 2021/2117 del 2.12.2021) ha consentito in tutta Europa di utilizzare i vitigni resistenti nelle denominazioni d’origine protetta e la Francia ne ha approfittato per mettere i Piwi al centro del proprio piano di rilancio. Varietà come Voltis sono così entrate come complementari in una denominazione di pregio come lo Champagne, l’Artaban nel Bordeaux. Soreli, una varietà resistente messa a punto dall’Università di Udine e commercializzata in esclusiva da VCR è ormai più utilizzata in Francia che in Italia.
I ritardi italiani rischiano invece di diventare un pregiudizio difficile da giustificare davanti al mercato internazionale.
Sostenibilità sempre più rilevante
Al Senato Yuri Zambon, direttore di VCR, spiega infatti come il requisito di sostenibilità, in tutte le sue declinazioni, packaging compreso, sia diventato sempre più rilevante nella scelta del vino da acquistare. La recente analisi di Nomisma Wine Monitor “Vino 5.0: la rivoluzione dei consumi” aggiornata al terzo trimestre 2024 conferma la fase di stallo dei consumi di vino nel mondo, ma indica anche alcune aree e trend su cui fare leva per invertire o spezzare la tendenza.
I millennials (26-40 anni) e la generazione Z (18-25) stanno diventando infatti sempre più rilevanti, incidendo sul 73% delle scelte d’acquisto a livello mondiale e puntano la loro attenzione su vini di qualità, sostenibili e leggeri (bassa gradazione).
Per quanto riguarda il mercato italiano la survey di Nomisma indica che il 93% dei nati dopo il 2000 punta sui vini con certificazioni di sostenibilità (più che sul bio) e la sostenibilità nel nostro Paese significa soprattutto riduzione dell’utilizzo degli agrofarmaci.
I Piwi, le varietà resistenti alle malattie fungine, sono lo strumento più efficace per realizzare gli obiettivi di una viticoltura sostenibile, capace di abbassare significativamente l’uso di agrofarmaci e quindi la sua carbon footprint.
Sono una risposta efficace per la valorizzazione e la tutela del territorio, soprattutto in quegli areali dove la viticoltura viene praticata a stretto contatto con aree civili densamente abitate. Sono una risposta efficace anche in chiave climate change, una tendenza, quella del riscaldamento climatico, che mette in evidenza l’esigenza di un razionale rinnovamento varietale proprio nei cru di maggiore successo della nostra viticoltura.
Il progetto di legge del Sen Patton può così prevenire quello che sarebbe un rischio deleterio per la nostra viticoltura. Ovvero quello di una classificazione di qualità basata sulla sostenibilità che ribalti l’attuale piramide basata sull’origine e sul territorio.
I nuovi obblighi per i consorzi di tutela
In più i Piwi sarebbero lo strumento più efficace ed adeguato per aiutare i consorzi di denominazione nel rispettare le nuove responsabilità e i nuovi compiti attribuiti a loro dalla nuova disciplina europea sulle indicazioni geografiche (Reg. (UE) 2024/1143 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 aprile 2024, entrato in vigore lo scorso luglio).
L’articolo 7 di tale normativa, in particolare, si occupa specificatamente di sostenibilità, spingendo i consorzi a prevedere delle c.d. pratiche di sostenibilità per la mitigazione dei cambiamenti climatici, la protezione del paesaggio, delle acque e dei suoli, la transizione verso un’economia circolare, ecc.
Alcuni consorzi stanno pensando proprio ai Piwi come strumento per realizzare questi ambiziosi obiettivi.
«Serve una nuova alleanza tra produzione e ricerca – chiosa Zambon -. I viticoltori potranno contare presto su nuovi strumenti per coniugare sostenibilità e redditività, puntando sull’innovazione senza tradire la tradizione e la vocazione territoriale». «Presso il VCR Research center, dopo le 14 varietà resistenti realizzate in collaborazione con UniUd e Iga, abbiamo avviato un nuovo programma autonomo di miglioramento genetico che ha già consentito di valutare 400mila nuovi genotipi di 90 tra le varietà più coltivate a livello locale. 11 di queste sono già depositate al Cpvo e prossime all’inscrizione».
Il futuro non può più attendere.