Rossi che marcano il territorio, bianchi eleganti, bollicine duttili: il “viaggio sensoriale” organizzato da VCR assieme ad Assoenologi consente di mettere a confronto le esperienze dei produttori pionieri e di esplorare le novità dietro l’angolo. I vini da varietà resistenti sono la migliore risposta per realizzare una viticoltura veramente sostenibile. Ma senza una strategia condivisa dalle istituzioni rischiamo di essere superati di slancio dai competitori internazionali
Ventisei etichette di vini Piwi già in commercio, provenienti da tre regioni (ovvero Friuli Venezia Giulia, Veneto e la prima incursione dall’Emilia-Romagna). Otto microvinificazioni per l’anteprima delle varietà resistenti targate VCR di prossima registrazione. Cresce in quantità e soprattutto in qualità quella che è l’avanguardia più promettente della viticoltura sostenibile. La conferma viene dal primo riuscitissimo “Viaggio sensoriale tra i vini Piwi VCR” organizzato lo scorso 25 giugno dai Vivai Cooperativi Rauscedo assieme ad Assoenologi Friuli Venezia Giulia presso il VCR Research Center.
Dove 59 tra enologi ed esperti degustatori si sono confrontati, a briglia sciolta, sull’evoluzione qualitativa dei vini ottenuti dalle varietà resistenti made in Friuli e sulle difficoltà che ancora ne ostacolano la diffusione.
Un caleidoscopio di profumi e sapori
«Enologi e produttori – commenta Yuri Zambon, direttore di VCR – hanno imparato a conoscere queste nuove varietà valorizzandone, attraverso le più adeguate tecniche agronomiche e di cantina, la ricchezza aromatica e la struttura». Ne emerge un caleidoscopio di sapori e profumi tutto da scoprire, capace di soddisfare le esigenze di un mercato internazionale a caccia di novità.
L’impegno della ricerca VCR e dell’Università di Udine ha già portato alla iscrizione al registro nazionale di 14 Piwi, selezionati, come evidenzia Michele Morgante dell’Università di Udine nel suo messaggio di apertura, per coniugare sostenibilità, cicli vegetativi più adatti al nostro areale di produzione e caratteristiche enologiche di pregio.
E per il futuro si potrà fare affidamento sui 400mila nuovi genotipi realizzati grazie al programma autonomo di ricerca di VCR, avviato nel 2015. Dodici varietà sono già state depositate al Cpvo e sono in attesa di iscrizione al registro nazionale (leggi qui le novità in particolare sulla Glera resistente).
I videomessaggi di Marco Stefanini, presidente di Piwi Italia; Michele Morgante di Università di Udine e Iga, Costantina Vocino, Vino Sapiens; Luca Gonzato, Dipendechevino
Il freno tirato da una normativa nazionale obsoleta
«Purtroppo in Italia – lamenta Zambon – il forte interesse dei produttori per queste varietà è frustrato da un blocco normativo che non ne consente l’utilizzo nelle Doc e ne limita la diffusione anche nelle Igt». L’obsolescenza della normativa nazionale emerge con tutta evidenza da un registro varietale nazionale dove si continua a fare riferimento a disposizioni da tempo abrogate (la nota a margine “uve non utilizzabili per i vini a D.O. riferito alle varietà resistenti viene riferita all’art. 8 del D.Lgs 61/2010, confluito sin dal 2016 nel Testo Unico della vite e del vino).
La proposta di aggiornamento del Testo Unico
A sua volta il Testo Unico è superato dalla nuova Ocm (Reg. Ue 2021/2117) che ha espressamente autorizzato l’impiego dei Piwi nelle Doc. «VCR sostiene per questo – informa Zambon – l’iniziativa parlamentare del Disegno di legge presentato alla Commissione agricoltura dal Senatore Pietro Patton che mira ad aggiornare l’articolo 33 e superare questo blocco nazionale».
«Occorre infatti consentire – stigmatizza il direttore di VCR – alla vitivinicoltura italiana di giovare delle medesime opportunità delle quali stanno beneficiando gli altri stati membri, dove le varietà resistenti sono impiegate per rilanciare le chance delle denominazioni d’origine».
Anche perché molte di queste varietà, oltre a consentire di coniugare qualità e sostenibilità, valorizzano il territorio con un’espressione influenzata dall’areale di produzione.
Le marcature territoriali dei rossi
Marcature territoriali che, presso Il Vcr Research center, emergono con forza nella degustazione dei diversi rossi ottenuti da Merlot Khorus. Con le note aromatiche e di marasca dell’Olympus Igt Friuli di TreZero, nato e cresciuto sulle terre ricche di scheletro compresse tra il Tagliamento e il Meduna; da contrapporre alla struttura avvolgente con sentori di erbe speziate del Cigno Nero de Il Parco del Venda, ottenuto sui terreni più organici e compatti situati a Vò, ai piedi dei Colli euganei. In mezzo a questi due poli sensoriali si trova il retrogusto persistente di frutti di bosco del Caliere Rosso di Terre di Ger (azienda metà friulana e metà veneta); la struttura e le note floreali e speziate di EL Masut di Terre di Ger, dove il Merlot Khorus è in blend con il M.Kanthus e il Cabernet Eidos. La Chioccia del Canever della Tenuta Maule è in assoluto il primo vino imbottigliato ottenuto da un blend di Volturnis e Pinot Kors invecchiati in cemento per rispettarne la nota primaria di frutti rossi. Nella stessa cantina, i terreni vulcanici di Montebello Vicentino esaltano i profumi fruttati intensi e le note di tabacco, pepe e prugna matura del Cabernet Volos assemblato con Merlot Khorus per dare origine alla Chioccia del Spezier.
Anche l’importante struttura del Cabernet Volos, impreziosita dalle note di frutta sotto spirito, valorizzata dall’Urano della Tenuta Le Carezze di Terrazzo, nella bassa veronese, può essere collegata al terreno ricco di calcare e argilla.
L’eleganza dei bianchi
Una robustezza che, passando ai bianchi fermi, sfocia nell’apprezzata eleganza che accomuna tutte le interpretazioni commerciali dei tre Sauvignon resistenti creati da VCR. Così nell’Arconi Bianco di Terre di Ger emergono le delicate note di frutta tropicale del Sauvignon Kretos; nel Resiliens di Le Carline le note fruttate e di maracuja del Sauvignon Nepis; equilibrate da sentori erbacei e agrumati di lime nel Sant’Eustachio Veneto Igt di Giusti Wine, ottenuto sempre da Sauvignon Nepis; mentre il Florea di Conte di Attimis Maniago è l’unico bianco in degustazione ottenuto da una prolungata macerazione di Sauvignon Rytos per esaltarne le note floreali e di zafferano bilanciate da un lungo finale di vaniglia e burro fuso.
La gamma “avicola” dei resistenti di Tenuta Maule si completa nei bianchi con la Chioccia del Fiòler da Soreli, con note floreali e tropicali al naso completate in bocca da una chiusura aromatica di menta.
La piacevole sorpresa è rappresentata da “Scambio”, vino bianco ottenuto da miscele di Sauvignon resistenti dall’azienda Randi nella pianura ravennate, una preziosa testimonianza di resilienza. Al primo insperato imbottigliamento nonostante l’impatto dell’alluvione 2023 su un vigneto di recente costituzione.
La sintesi perfetta delle peculiarità dei vitigni bianchi resistenti è rappresentata infine dal progetto Renitens di Nicola Biasi, enologo “resistente” e convinto sostenitore della missione dei Piwi che ha sfruttato il leit motiv dell’eleganza che caratterizza questi vitigni per realizzare un blend che travalica i confini delle diverse realtà del Triveneto.
La duttilità delle bollicine
È infine dalla degustazione degli spumanti che emerge la duttilità dei vitigni resistenti, con l’Iris da Sauvignon kretos leggermente appassito, rifermentato con metodo Charmat di Le Carezze, caratterizzato da sapidità e freschezza, premiato anche al recente Piwi International wine Challenge 2024 che si è tenuto a Valtice, in Cechia.
Il Sorlis di TreZero è invece un frizzante Igt Friuli che interpreta il Soreli rifermentandolo solo con il residuo zuccherino naturale dopo una prima fermentazione a bassa temperatura e maturato sur lies. Con un impatto sensoriale minerale e tattile grazie al perlage fine e alla presenza del “fondo”. L’azienda Rigonat applica invece al Soreli una rifermentazione in bottiglia per ottenere Sanvilla, che in assoluto è il primo Metodo Classico ottenuto da varietà resistenti.
Il parere dei produttori
«I Piwi – testimonia Nicola Biasi, l’enologo che ha tessuto i fili della rete d’impresa Renitens – sono il migliore strumento per progetti che vogliano unire, dal vigneto alla bottiglia, l’eccellenza qualitativa alla reale e concreta sostenibilità». «I vini Piwi che oggi è possibile degustare in Italia – fa eco Robert Spinazzè di Terre di Ger – nascono dall’impegno di veri pionieri, produttori che, all’interno di un settore che esalta spesso senza un motivo razionale la tradizione, hanno creduto invece nell’innovazione e nella capacità della ricerca di individuare varietà in grado di unire sostenibilità e qualità». «Abbiamo aperto questa porta, individuando le migliori tecniche e risolvendo problematiche inedite: uno sforzo non certo agevolato dalle istituzioni e che deve essere comunicato in maniera efficace ai consumatori».
«Affidarsi al Merlot khorus – testimonia Stefano Gri di Trezero – in un terreno difficile come la pianura friulana ci ha consentito di realizzare un prodotto caratterizzato da aromi, profumi e anche colore: una caratteristica qui impensabile da realizzare con Merlot “convenzionali”». «Ciò dimostra che è proprio ricorrendo all’innovazione che si riesce a rincorrere ciò che è considerato più tipico».
«I Piwi possono costituire una grossa chance territoriale– ha chiosato Stefano Trinco, presidente della Doc Friuli –, ma occorre superare gli ostacoli normatici e politici che finora inibiscono la possibilità di costituire massa critica e gamma, i due ingredienti che occorrono alle cantine più strutturate e alle grandi realtà cooperative per puntare senza indugio su questa categoria di vini».